Su Al di là del principio di piacere (S.Freud, 1920) a cura di Cristiano Lastrucci

Freud pubblica la prima edizione di Al di là del principio di piacere nel 1920, su cui aveva iniziato a lavorare nel marzo del 1919. Scrive questo testo per provare a rispondere a quelle osservazioni che vanno in contrasto con il principio di piacere, ovvero con il processo primario (vedasi, tra gli altri, Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico del 1911)[1], e che lo portano a guardare al di là di esso.

Innanzi tutto le nevrosi traumatiche e le nevrosi di guerra: perché il soggetto sogna la situazione che ha creato il trauma? Perché vi è psichicamente fissato?

Perché suo nipote di 18 mesi ripete continuamente nel gioco il doloroso andar via della madre?

Perché spesso la vita delle persone sembra vittima di un potere “demoniaco”, che le porta ripetere a ripetere gli stessi comportamenti – seppur dolorosi – in un “eterno ritorno all’uguale”?

All’inizio del terzo paragrafo Freud ripercorre lo sviluppo della tecnica psicoanalitica dei suoi 25 anni di lavoro: 1) “scoprire i contenuti inconsci ignoti al malato per raccoglierli e comunicarglieli al momento giusto” 2) poiché questo non portava alla risoluzione, si doveva “obbligare il malato a confermare la costruzione dell’analista con i suoi stessi ricordi”, al fine di scoprire velocemente le resistenze ed indicarle al malato, per poi indurlo ad abbandonarle grazie all’influenza della suggestione data dalla traslazione. Ma anche qui Freud si rese conto che non tutto ciò che era inconscio poteva diventare cosciente. Il malato non ricorda tutto, quindi non può confermare: “Egli è piuttosto indotto a ripetere il contenuto rimosso nella forma di un’esperienza attuale, anziché ricordarlo come parte del proprio passato”. Il paziente deve rendersi conto che “quella che gli appare come realtà è in effetti soltanto l’immagine riflessa di un passato dimenticato”.

È il principio di piacere che tiene rimosso il ricordo relegato nell’inconscio, perché altrimenti genererebbe dispiacere. Quello che continua a non tornare tuttavia è perché resti traccia nell’inconscio di un ricordo doloroso e che questo venga processato come un ricordo piacevole.  Perché questa pulsione, seppur dolorosa, chiede di essere appagata?!?

Ricordo, rispetto a questo, la frase di Freud sull’uomo dei topi (quando questi racconta della tortura dei topi): “In tutti i momenti più importanti del racconto osservo sul volto del paziente un’espressione singolarmente composita, che posso spiegare soltanto come orrore di un proprio piacere a lui stesso ignoto.”

Freud, a seguito di queste osservazioni, scrive che “nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma anche a prescindere dal principio di piacere”. Inoltre si chiede che connessione esiste tra la pulsione e la coazione a ripetere, ipotizzando che “una pulsione sarebbe dunque una spinta, insita nell’organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale quest’essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti dall’esterno.


[1] In particolare l’ultimo paragrafo, il n.8.

Cristiano Lastrucci